Progettare un intervento abilitativo
Affrontare il tema dei disturbi dello spettro autistico significa approfondire tecniche e metodologie professionali: abbiamo chiesto al dottor Lucio Moderato*, psicologo e psicoterapeuta di fare il punto sugli interventi educativi.
Un intervento abilitativo è quel processo difficile, faticoso e, nel caso dell’autismo, lungo, che permette il riempimento della mente intesa come contenitore di informazioni, conoscenze, esperienze, emozioni. Per realizzarlo è necessario costruire percorsi abilitativi ordinati e strutturati, che possano fornire al contempo le conoscenze e le abilità per servirsene. Se così non fosse, sarebbe come avere una biblioteca composta da volumi non catalogati e quindi di difficile consultazione. Per trovare il libro desiderato sarebbe necessario passarli in rassegna uno ad uno, con un notevole dispendio di tempo.
Da un punto di vista educativo e abilitativo la strutturazione degli interventi con sequenze seriali, ordinate, lente ma costanti, permette alla persona con autismo di apprendere con maggiore facilità in quanto viene garantito un sistema fluido e uniforme. L’insieme delle abilità che vengono acquisite dalla nascita in poi e collocate al giusto posto nella mente costituisce una parte fondamentale dello sviluppo psicologico di un individuo. Tale sviluppo, infatti, può essere definito come il cambiamento progressivo nelle interazioni fra il comportamento degli individui e gli eventi del loro ambiente. Questa modificazione progressiva è il prodotto di numerosi fattori e avvenimenti che si verificano durante tutto l’arco della vita, dalla nascita alla morte.
Nel caso di persone con autismo queste interazioni possono essere disturbate e disturbanti, in quanto il mondo circostante che produce stimoli e costringe alle interazioni è troppo ricco, veloce e vario per loro. Inoltre, è proprio la fase della generalizzazione che è carente in un soggetto autistico: l’abilità che viene acquisita in una determinata situazione può non essere utilizzata al momento funzionalmente opportuno. Il progetto educativo, prima che sulla carta, deve essere nella testa del singolo genitore, operatore, psicologo, educatore, insegnante. Non bisogna dimenticare che la sua applicazione richiede costanza e perseveranza: pazienza di aspettare, costanza di impegnarsi sempre, sacrificio di combattere, e fede nella speranza che il risultato prima o poi arriverà.
Ma di cosa ha bisogno una persona con autismo? Di una vita il più vicina possibile a una vita normale: alzarsi al mattino, andare al lavoro, tornare a casa, lavarsi, cambiarsi, preparare la cena, andare a letto, e poi di nuovo risvegliarsi e ricominciare da capo.
Una normalità che diventa una conquista considerando il fatto che le persone con autismo tutte queste cose non le sanno fare da soli e che i genitori/operatori sono lì a faticare per insegnargliele. E lo fanno non con magie o interventi miracolosi ma utilizzando metodologie e tecniche per far diventare i bambini più autonomi e indipendenti, come ad esempio le agende iconiche e visive, modalità di comunicazione non verbale adottate per rendere più comprensibili i messaggi che i genitori/operatori vogliono loro trasmettere. In tal senso un percorso educativo può essere definito come il processo che conduce all’acquisizione di un insieme di abilità, derivante dall’interazione tra le problematiche presentate dall’individuo e le speranze di normalizzazione che il gruppo sociale esprime particolarmente nei confronti delle competenze necessarie alla vita di tutti i giorni, come ad esempio essere autonomi. Il raggiungimento di risultati da un punto di vista educativo e abilitativo è vincolato alla costruzione di sinergie operative con strutture territoriali con attività occupazionali o di formazione all’autonomia basate su programmi di lavoro complementari e articolati in diverse forme a seconda delle diverse situazioni che la persona disabile si trova a vivere. La creazione di una rete integrata di servizi permette di dare continuità al progetto educativo. In questo modo, e con il coinvolgimento e la partecipazione di tutto il tessuto sociale del territorio, si può realizzare il fine ultimo della
riabilitazione: collegarsi alla realtà quotidiana e costruire quell’intelligenza definibile come l’utilizzo corretto delle proprie capacità in tempi e situazioni diverse.
*Lucio Moderato è Direttore dei Servizi Diurni e Territoriali della Fondazione Sacra Famiglia onlus, Direttore Scientifico dell’Associazione Autismo e Società onlus e docente di Psicologia della Disabilità presso l’Università Cattolica di Milano.