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Il 2 aprile ricorre la Giornata Mondiale della consapevolezza sull’Autismo, istituita dall’ONU nel 2007 con l’obiettivo da un lato di promuovere la ricerca e il miglioramento dei servizi e dall’altro contrastare la discriminazione e l’isolamento di cui sono ancora vittime le persone con disturbi dello spettro autistico e le loro famiglie.

“C’è ancora tanto lavoro da fare sul fronte della sensibilizzazione: perché la società non è pronta ad accogliere bambini come Riccardo”.

A pronunciare queste parole è Antonio. A suo figlio Riccardo è stato diagnosticato un disturbo dello spettro autistico qualche anno fa, quando era ancora piccolo, aveva circa due anni. “L’autismo è una disabilità che non si identifica a prima vista, è invisibile ma allo stesso tempo attira facilmente l’attenzione…. Mi basta portare Riccardo a fare la spesa con me per sentirlo definire “maleducato”, nel migliore dei casi, a causa dei suoi comportamenti più esasperati. Certo mi metto nei panni di queste persone: anche noi che oramai da tempo viviamo la situazione ci abbiamo messo un po’ a capirne tutti gli aspetti… figuriamoci quanto possa apparire “strano” per una persona che non ha mai sentito parlare di questa disabilità”.

Sono milioni nel mondo, e migliaia in Italia, le famiglie che devono misurarsi con questo disturbo, le cui cause non sono ancora chiarite del tutto. La sindrome dello spettro autistico è tra le più complesse da trattare e richiede conoscenze e competenze specifiche, nonché l’impegno costante e collaborativo di quanti ruotano attorno al bambino – prima di tutto i genitori e la famiglia tutta, ma anche degli insegnanti e dei terapeuti.

Attorno a Riccardo e alla sua famiglia sono tante le figure familiari che formano una rete di cura e sostegno: “Ci sono innanzitutto i miei suoceri ma in generale la famiglia tutta si attiva per darci una mano. E poi naturalmente i professionisti: lungo il nostro percorso abbiamo trovato tante persone preparate, che ci hanno saputo guidare e consigliare, che hanno trovato il modo giusto per entrare in relazione con Riccardo ed entrare nel suo mondo. Ricordo ad esempio una visita fatta in giardino, perché Riccardo non voleva entrare nello studio della dottoressa che doveva visitarlo. Lei allora portò in giardino tutti i giochi che aveva in studio e non si arrese fino a che non trovò quello giusto, le bolle di sapone, che ancora gli piacciono tantissimo, per attirare l’attenzione di mio figlio”.

Nel caso di questa famiglia la diagnosi è stata precoce. I genitori avevano notato delle “stranezze” nel comportamento di Riccardo, anche in relazione all’esperienza avuta con il fratello di tre anni più grande, Simone. Si sono così rivolti alla pediatra e da lì all’Unità Operativa di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza. Lungo il percorso qualche intoppo, incertezze e inciampi, ma sempre e comunque la voglia di andare avanti per trovare il modo migliore per aiutare Riccardo.

Non bisogna – non si può – desistere! Ogni tappa nel cammino di nostro figlio è una sfida: non ci si può fermare un attimo perché ogni volta c’è un nuovo ostacolo da superare, un muro da abbattere ma si fa, non senza qualche angoscia, non posso nasconderlo. Ad esempio quando Riccardo ha iniziato a frequentare la scuola primaria. Dopo l’inserimento siamo molto più tranquilli: si è creato un bel rapporto con i compagni, con le insegnanti e con l’insegnante di sostegno”.

Oggi Riccardo frequenta, tutti i giorni, l’officina delle abilità, il Centro Diurno di l’abilità, dove impara a comunicare, a relazionarsi con gli altri e a sviluppare quelle autonomie che gli permettono una maggiore inclusione nella società. Così, quando è a scuola, sta in classe con i compagni con i quali ha instaurato un ottimo rapporto: “I compagni di classe sono i nostri migliori alleati, dice Antonio, perché hanno imparato a entrare in relazione con lui, a coinvolgerlo, ad interagire.

Proprio su questi aspetti stiamo cercando di lavorare tanto: Riccardo è sì un bambino con disabilità, ma dobbiamo dargli gli strumenti per interagire con gli altri, per inserirsi nella società. Con il tempo Riccardo ha imparato a stare con gli altri e questo per noi è importante perché significa che diventerà sì un adulto con disabilità, ma non sarà mai solo”.

Il pensiero verso il futuro porta con sé interrogativi e domande. “Non passa giorno durante il quale mia moglie ed io non ci poniamo questa questione. Ci domandiamo come sarà la giornata di Riccardo quando noi non potremo più seguirlo. Non voglio un “parcheggio” per lui, vorrei trovare una realtà che rispetti la sua dignità di persona, che lo aiuti a crescere e che lo faccia vivere nel migliore dei modi”.

Con il papà di Riccardo, alla fine della chiacchierata, torniamo al punto di partenza, all’importanza della condivisione delle esperienze e alla necessità di parlare di autismo, sempre, per diffondere conoscenza e consapevolezza. “A una famiglia che ha appena ricevuto la diagnosi per il proprio bambino consiglio di non piangersi addosso. O meglio di farlo, l’abbiamo fatto anche noi, ma non per molto. Finito quel momento cominciate a dirvi: adesso vediamo chi l’avrà vinta! Lottate contro tutto e contro tutti e non date per scontato che il vostro bimbo non possa migliorare, perché può farlo! Può imparare a stare nel mondo: dite qual è il problema, non c’è nulla di cui vergognarsi… accantonate i sensi di colpa! Affidatevi agli specialisti senza perdere tempo ad inseguire mille rivoli di informazioni, perdendo energie che dovete convogliare su ben altro: i vostri figli”.

Con un unico obiettivo: costruire percorsi di inclusione, autonomia, abilità per i bambini con disabilità, affinché possano stare nel mondo.