Restare, per nostro figlio
Tutte le famiglie, siano esse italiane o straniere, che si trovano a dover affrontare la nascita di un figlio con disabilità, vivono dei passaggi comuni: lo smarrimento, la ricerca di un nuovo equilibrio e la costruzione di un percorso di educazione e abilitazione del bambino.
Passaggi vissuti anche da Eliana e Luis, i genitori di Gabbriel, un bambino con disturbo dello spettro autistico che frequenta il nostro centro diurno, L’officina delle abilità.
Eliana ci ha raccontato la sua storia…
“Quando siamo arrivati qui dalla Bolivia, all’inizio degli anni 2000, l’idea non era quella di rimanere stabilmente. Le cose con il passare del tempo sono cambiate. Abbiamo messo radici qui, ci siamo sposati, nel 2006 è nata Alena e un paio di anni dopo è arrivato Gabbriel.
Già alla nascita di Alena ho sentito forte la mancanza della mia famiglia: avrei voluto avere vicina mia madre. Non avevo nessuna esperienza in fatto di bambini e mi sarebbe piaciuto potermi confrontare, avere un appoggio, una guida. Con Gabbriel avevo un po’ di esperienza e per certi versi ero più tranquilla, ma con il passare del tempo abbiamo riscontrato dei problemi che ci hanno sempre più preoccupato.
Gabbriel faticava a parlare e i suoi problemi di linguaggio si sono fatti sempre più evidenti e con essi è aumentato il nostro stress: non riuscivamo a capire perché avesse quelle difficoltà né perché alternasse momenti di tranquillità estrema a crisi di pianto apparentemente irragionevoli. Ci siamo allora rivolti alla pediatra e con lei abbiamo deciso di fare segnalazione all’Unità Operativa di Neuropsichiatria dell’Infanzia e Adolescenza (UONPIA).
La diagnosi è stata chiara, almeno sulla carta: disturbo dello spettro autistico.È iniziato un periodo di forti incertezze e insicurezze, ripensamenti e paure. Dovevamo capire di cosa si trattasse… inizialmente speravamo ci fosse una medicina, per risolvere il tutto.
Progressivamente ci siamo resi conto che avremmo dovuto affrontare la situazione giorno dopo giorno, passo dopo passo. E quando finalmente l’abbiamo capito abbiamo superato il momento di crisi e abbiamo ricominciato a vivere.
Sono stati tanti gli ostacoli da superare: l’inserimento a scuola, il dover accettare che Gabbriel avesse bisogno di un insegnante di sostegno, il dover imparare a interagire con lui in maniera nuova, con una particolare attenzione al linguaggio. Certo poi con Gabbriel parlo anche in spagnolo, perché è la sua lingua madre, e vorrei che lui e la sorella continuassero a parlarla, ma ho anche capito che è importante parlare con lui in italiano quando dobbiamo dargli delle indicazioni precise, delle regole, per non destabilizzarlo e confonderlo.”
Quando le chiediamo se ha mai pensato di tornare in Bolivia, Eliana fa una lunga pausa…
“Tornare? Mi sento divisa e confusa, non abbiamo ancora preso una decisione definitiva in merito e non so se riusciremo mai a prenderla. Perché da un lato è ovvio, mi manca il sostegno delle nostre famiglie. Però Gabbriel qui ha iniziato un percorso che sta dando i suoi frutti e tornare in Bolivia significherebbe dover ricominciare tutto da capo. Un’altra cosa mi spaventa: in Bolivia si parla ancora pochissimo di autismo, se non per niente. Ci sono ancora atteggiamenti di forte chiusura, al limite dell’intolleranza. Per un po’ resteremo ancora, per Gabbriel.”