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Il  19 giugno con piacere abbiamo partecipato alla restituzione dei dati di una ricerca condotta nel 2013-2014 sulla Percezione della Qualità delle Cure condotta dal GIPCI (Gruppo Italiani Paralisi Cerebrali Infantili).
I dati emersi dall’analisi statistica sono molto interessanti, in particolare quelli che analizzano la relazione fra la Percezione della Qualità delle cure da parte dei genitori e le caratteristiche della
patologia del bambino, quelle della famiglia e quelle dei servizi.

Rilevante è che le più di 200 famiglie di bambini e adolescenti con Paralisi Cerebrale Infantile intervistate da Nord a Sud sottolineano come criticità la qualità dell’informazione ricevuta. Mentre sulla qualità professionale dei servizi i punteggi sono più alti, la criticità di fondo è sul tema delle informazioni giudicate non sufficienti sia per quanto attiene gli aspetti più specifici della patologia, sia sugli aspetti riabilitativi, sia sulla sfera dei diritti e delle provvidenze.

Il tema dell’informazione ai genitori è un nodo critico che da tanti anni cerchiamo di affrontare con molte iniziative della nostra associazione. Portare alla luce il tema della “prima comunicazione” è stata per noi un’urgenza fin da subito, tant’è che ne abbiamo fatto una ricerca, da cui è nata la pubblicazione: “Problemi di comunicazione. Quando i medici parlano per la prima volta di disabilità. Da qui poi siamo andati avanti e per dare ancora più forza alla ricerca, ne abbiamo fatto un documentario, diretto dal regista Mirko Locatelli dal titolo “Una destinazione imprevista“.
Il documentario riporta, sotto forma di interviste, le storie di 4 coppie di genitori che hanno ricevuto la comunicazione della disabilità del loro figlio. Un momento duro e pieno di dolore, che arriva dopo attese e speranze di felicità.

Siamo convinti però che la carenza delle informazioni sia spesso legata ad un tema molto importante che è quello di un processo di comunicazione che deve integrare l’informazione specifica con l’ascolto del vissuto della famiglia, con i tempi di elaborazione in spazi dedicati e di confronto.

Non è un caso che la criticità sia segnalata dalle famiglie dei piccoli innanzitutto, laddove l’informazione ha bisogno di un accompagnamento, di una prossimità, di una capacità di ascolto maggiore per la fragilità dei vissuti dopo la prima comunicazione, una comunicazione che non è mai finita, come ci dissero proprio al Besta qualche anno fa nella nostra indagine su “Problemi di comunicazione. Quando i medici parlano per la prima volta di disabilità (p. 41)

La comunicazione della prognosi non è mai finita, è un percorso che non

finisce mai, si dilata in tempi lunghissimi perché un genitore non riesce

mai ad accettare fino in fondo, per esempio, che un bambino non potrà

camminare… Mi viene in mente il caso di quei genitori che sono andati

in un certo posto per avere una tuta spaziale per tenerlo in piedi, un bambino

che non avrebbe mai raggiunto se non la posizione seduta. Questo

bimbo ha ormai 5 anni e questa mamma ogni tanto ritorna e mi dice: “Io

lo so che lei si arrabbierà, ma io ho sentito che…”. Mi documento e poi

dico no e la mamma mi dice: “Ha ragione, basta non cerco più” e poi

ritorna. “Ma se andassi in vacanza in Romania dove c’è la scuola di fisioterapia…”.

Informazione e formazione, ascolto e parola, un percorso che nella nostra recentissima esperienza sul case manager prende forma e sostanza. Perché l’informazione diventi un percorso e un progetto di vita nella complessità della rete tra servizi e vita quotidiana. E in questo percorso ci sia un aiuto vero.

Laura Borghetto, Presidente l’abilità Onlus